E’ una superstizione che i gatti abbiano nove vite, nata probabilmente perché essi riescono a sopravvivere a cadute da luoghi elevati, uscendone illesi o cavandosela eventualmente con poche lesioni. Questo dà l’impressione che i nostri amici a quattro zampe ritornino alla vita dopo aver subito incidenti mortali.
La capacità del gatto di sopravvivere a questi traumi in realtà deriva da alcune particolari doti e conformazioni fisiche che gli sono proprie. Il senso di equilibrio interno che gli deriva dalle orecchie molto sviluppate e che gli consente di atterrare sulle quattro zampe e di recuperare immediatamente la posizione orizzontale anche quando precipitano a testa in giù. Inoltre, quando toccano il suolo, l’impatto viene attutito e ripartito non solo attraverso le ossa che potrebbero rompersi facilmente, ma anche attraverso le articolazioni ed i muscoli.
Paradossalmente il gatto ha maggiori probabilità di sopravvivenza se cade da un luogo più elevato che da piani più bassi. Dai dati raccolti dai veterinari di New York emerge infatti che il solo il 5% dei felini che cadevano da piani compresi tra il settimo ed il trentaduesimo morivano, a fronte di un 10%, il doppio, che moriva cadendo da piani inferiori, tra il secondo ed il settimo.
Un gatto che cade da un piano superiore, infatti, crea con le sue gambe una specie di paracadute, che aumenta la superficie contro cui l’aria deve spingere, e rallenta progressivamente la caduta. Cadendo da piani più bassi, il gatto non ha tempo di aggiustarsi come gli si conviene per un atterraggio soft.
Recentemente gli scienziati hanno dato una risposta ancora più scientifica alle nove vite del gatto, che stavolta ha a che fare con le caratteristiche interne, ovvero con il sistema nervoso. A quanto pare, infatti, il sistema nervoso del gatto ha la capacità di auto-ripararsi e di recuperare le sue funzioni, grazie alla presenza di una funzione specifica di rimielinizzazione.