Che gli animali domestici siano paragonati a beni mobili, ovvero cose, lo sappiamo già. Ma che rubare il gatto del vicino di casa sia lecito no, non ce lo aspettavamo. Ecco la curiosa vicenda giudiziale che si è conclusa pochi giorni fa presso il Tribunale di Roma (Prima Sezione Penale), con una sentenza a dir poco paradossale.
Una donna circa sette anni fa aveva sottratto Pongo, il gatto del vicino di casa, senza mai restituirlo al legittimo proprietario, dicendo che lo avrebbe portato dal veterinario. Un furto in piena regola. Ma non per il Tribunale: i giudici, applicando il principio secondo cui gli animali domestici sono oggetti, e non sapendo dare un giusto valore ad un micio, hanno deciso che si tratta di una cosa di poco valore, che dunque non porta alla punibilità del reo per la particolare tenuità del fatto.
Il decreto legislativo del marzo del 2015 ha introdotto la non punibilità per particolare tenuità dell’offesa, una forma di assoluzione che vale soprattutto per i furti di poco valore, come un pacco di pasta in un supermercato o simili. Non certamente un essere vivente. Si è pensato solo al valore economico dell’animale, senza tener conto del valore affettivo che lo stesso può avere in una famiglia. Una decisione paradossale, così come era altrettanto assurda la vicenda che aveva visto pignorare un cane.
Speriamo che in futuro le autorità giudiziarie capiscano che gli animali da affezione vanno oltre al loro valore economico: c’è l’affetto, l’amore, il passare una vita insieme, il condividere tanti momenti che no, non hanno prezzo alcuno.
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