I naturalisti lanciano l’allarme e confermano che entro quaranta anni, moltissimi pesci potrebbero scomparire. Se, infatti, la qualità del mare in tante zone è migliorata, lasciando intravedere spiragli di acque cristalline, lo stesso non si può dire per le specie che lo abitano, sempre meno presenti. Troppi esemplari, finiscono nelle reti dei pescatori e nei pescherecchi che raccolgono le scorte a livello industriale, per poi essere venduti in parte nei mercati ittici. Quantità così grandi di fauna marina, stanno portando ad un grave rischio di estinzione fra poco meno di metà secolo.
A Tokio, per esempio, la produzione di sushi porta un chilo di tonno ad essere venduto fino a cinquecento euro e non possono stare tranquilli neanche gli squali, catturati e acquistati a prezzi sbalorditivi. Per quest’ultima specie marina, poi, la fine è assolutamente tragica e, tra l’altro, la loro presenza è arrivata a calare del 97 per cento. Una volta pescati, infatti,vengono loro tagliate le pinne che nella cucina giapponese e cinese sono una prelibatezza e vengono ributtati in mare, lasciando che muoiano dissanguati. L’Unione Europea ha messo al bando questa atroce pratica nel 2003, ma ancora adesso grazie a permessi speciali flotte e spagnole e portoghesi sono dispensate dal seguire il divieto.
Anche i rifiuti che inquinano i mari mettono creano dei grossi rischi e se si calcola che il settanta per cento delle città con più di otto milioni di abitanti sono costruite sulla costa si capisce bene la necessità di intervenire subito. I Paesi in via di sviluppo, poi, gettano il novanta per cento di ciò che non usano in acqua, come denunciano gli esperti. Intanto gli squali tanto odiati dai bagnanti, al momento, sembrano pagare il prezzo più alto:” non sono una specie di cibo sostenibile – conferma Serena Maso di Shark Alliance – perchè sono al vertice della catena alimentare e come tali regolano l’ecosistema mangiando le specie di pesci più deboli, le carcasse e gli animali malati, prevenendo così il rischio di epidemie”.
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