A Ventimiglia, in provincia di Imperia, è accaduto un fatto strano e decisamente contrario al buon senso: un cittadino francese ha preso a sprangate un cigno che si trovava sull’erba lungo un fiume e, non soddisfatto della sua condotta, ha perfino distrutto le uova che stava covando. Fermato da un passante mentre stava per uccidere il povero animale, l’aggressore è andato in escandescenza.
Questa notizia di cronaca è un buono spunto per affrontare il delicato tema dei maltrattamenti sugli animali: nella previsione del codice penale infatti non vi è alcuna distinzione tra animali da compagnia ed animali selvatici. A norma dell’art. 544 ter del codice penale 1. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. 3. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.
Nel caso in esame è evidente come il soggetto si sia reso responsabile del reato indicato in quanto ha volontariamente e senza alcuna motivazione, sottoposto a sevizie e lesioni il cigno, anche se il codice è piuttosto controverso nell’utilizzo dell’ espressione lesione e sevizia: tali espressioni infatti portano a ritenere che la fattispecie del maltrattamento sussista solo se dal comportamento dell’uomo deriva all’animale una lesione fisica.
Resterebbero quindi non punibili le percosse cui non conseguono particolari danni fisici per l’animale, né le condizioni di paura e di semplice patimento: speriamo che la giurisprudenza riesca a chiarificare l’utilizzo di tali termini in modo da offrire e consentire una disciplina uniforme.
Fonte www.ansa.it