Il 14 febbraio è iniziato l’anno della tigre secondo il calendario cinese, e proprio in concomitanza con questo evento il WWF ha lanciato un allarme sulla possibile estinzione delle tigri, delle quali ne restano solo 3.200 esemplari. Le cause della scomparsa delle tigri sono molte, ma il WWF ha reso note le dieci più importanti, tra le quali: i cambiamenti climatici in Bangladesh, la riduzione del loro habitat naturale in India, il commercio di ossa, carni e pelli in Cina, Vietnam e Nepal, la deforestazione in Russia e in Mekong.
Nonostante quasi tutti i paesi asiatici abbiano festeggiato in grande stile l’anno della tigre, il felino in carne e ossa è seriamente in pericolo, basti pensare che dal 1940 si sono estinte ben tre sottospecie di tigri e che dal 1998 il loro habitat è diminuito del 40%.
I responsabili dell’estinzione delle tigri sono anche i paesi industrializzati occidentali; ad esempio gli Stati Uniti hanno il record di tigri in cattività: più di 5.000, e con poche leggi che tutelino i felini dal mercato nero. Sul banco degli imputati ci sono finiti anche gli stati europei a causa dell’enorme domanda di olio di palma, una delle principali cause della deforestazione asiatica.
Il WWF spiega che:
nell’Anno della Biodiversità la tigre è stata scelta da noi come simbolo della natura che scompare e che dobbiamo difendere, che porta con sé problemi pressanti di assedio del territorio e delle risorse naturali, con inevitabili ripercussioni anche sul benessere dell’uomo, che di quelle risorse non può fare a meno.
Ma non tutto è perduto; il WWF crede che questa situazione possa essere cambiata, soprattutto in vista del summit speciale che si terrà in Russia a settembre, nel quale saranno presenti tutti gli stati interessati alla tigre e le organizzazioni ambientaliste, senza contare che già nel summit tenutosi a fine gennaio in Thailandia, gli stati range della tigre si sono impegnati a raddoppiare il numero di questi felini entro il 2022.