La legge 281 del 1991 è stata una vera e propria innovazione per quel che riguarda la gestione dei cani abbandonati o randagi: ha consentito infatti ai Comuuni, veri e propri responsabili dei cani randagi che si trovano sul suo territorio, di affidare gli stessi a strutture private, pagando un corrispettivo per il mantenimento e le cure necessarie. Il tutto in mancanza di una struttura pubblica, di un canile gestito da volontari e personale dipendente comunale.
Si tratta di una bella novità, innovativa per l’epoca, ma oggi, a che punto siamo? Queste strutture sono veramente efficaci per la corretta gestione dei cani randagi? O il richiamo ai fondi comunali spinge persone senza cuore a gestire nel peggiore dei modi delle strutture, lasciando i cani a loro stessi? La cronaca purtroppo, in questi casi, non mente: sempre più spesso si sentono servizi su cani denutriti, malati, costretti a vivere in pessime condizioni in strutture fatiscenti. I controlli? Assenti. Le sovvenzioni comunali? Reali e presenti.
Le uniche associazioni in grado di vigilare e di ottenere (poca) giustizia sono quelle animaliste e di difesa ambientale, spesso ostacolate nella loro attività. Considerando le stime degli ultimi anni si può notare una vera e propria impennata di strutture convenzionate, un business facile, senza troppi oneri iniziali e con lauti guadagni. Facciamo due conti? Il comune paga la struttura per ogni cane che arriva (fino a sette euro), per tutta la durata della sua vita e anche in caso di morte: per ogni carcassa smaltita riceve dalle 50 alle 75 euro. Non male eh? Molto più di una giornata di lavoro di un operaio medio, che si sveglia alle sei e trascorre otto ore in una fabbrica.
Senza contare il denaro pubblico sperperato: si conta una giro di denaro di circa 500milioni di euro. La mortalità in queste strutture è altissima: circa il 60% degli ospiti canini, gli spazi minimi previsti dalla legge di 2 metri quadri sono inesistenti. Buongiorno Italia!
Fonte: www.bighunter.it
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