Ha vissuto un pezzo di storia il cane soldato che è entrato nel covo di Osama Bin Laden, ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio scorso. Un pezzo del commando, a quattro zampe, il cui nome e razza resteranno sconosciuti, proprio come l’identità degli altri elementi, umani, che hanno preso parte al blitz che sta facendo discutere il mondo intero per l’alone di mistero che circonda gli ultimi minuti della vita del numero uno di Al Qaeda.
Il New York Times celebra questo soldato alla stregua degli altri eroi della lotta al terrorismo titolando Un cacciatore a quattro zampe. L’identità del cane dei Navy Seals resterà chiusa da uno stretto riserbo come del resto tutta l’operazione che ha portato alla morte di Bin Laden. Di lui si sa soltanto che potrebbe trattarsi di un pastore tedesco o di un belgian malinois.
Anche il suo ruolo nella missione, come quello dei tanti cani soldato presenti a fianco dell’esercito nei focolai di guerra accesi nel mondo, è noto. Il cane doveva probabilmente verificare che non vi fossero esplosivi interrati nel covo o trappole sempre esplosive appese alle porte o alle maniglie.
Il soldato a quattro zampe doveva fare da apripista, insomma. Inoltre, il suo intervento si sarebbe rivelato utile nel caso in cui il terrorista avesse deciso di nascondersi dietro una parete o in qualche ulteriore rifugio nel rifugio, celato alla vista dei soldati ma non al fiuto ed all’intuito del cane.
Attualmente, solo contando le missioni americane in Iraq ed in Afghanistan, ci sarebbero ben 600 cani impegnati a fianco delle truppe. Le loro abilità, secondo quanto afferma David Petraeus, comandante del contigente americano in Afghanistan, sono superiori a quelle di una macchina e di un uomo.
Il loro fiuto è infatti utilissimo per prevenire attentati ma vengono impiegati anche come deterrente psicologico, per costringere il nemico alla resa senza necessariamente ingaggiare un conflitto a fuoco. I cani soldato hanno salvato molte vite. Certo, resta aperto un interrogativo di non facile risoluzione sul fatto se sia giusto o meno impiegarli nelle guerre degli uomini con il rischio di esporli a stress post-traumatico.
[Fonte: NYT]
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