Se il cane è da sempre il migliore amico dell’uomo, il segreto è custodito nel suo Dna, in particolare in cinque geni che gli hanno permesso di sviluppare comportamenti sociali verso l’essere umano, di comunicare e collaborare intenzionalmente con noi. A scoprire questo decisivo dettaglio, sono stati i ricercatori dell’università svedese di Linkoping, guidati dall’etologo Per Jensen, , il cui lavoro è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
Da almeno 15 mila anni i cani tra gli animali addomesticati occupano un posto di rilievo perché integrati nella famiglia e società umane. A differenza dei loro antenati lupi, hanno abilità sociali uniche per comunicare e collaborare con gli esseri umani.
Nell’arco del processo di domesticazione, infatti, hanno sviluppato abilità sociali che gli hanno permesso di comunicare e cooperare con l’uomo in misura ineguagliata da qualsiasi altra specie, formando forti legami di attaccamento con i loro proprietari, comprendendo i gesti e le sue emozioni sul viso, cercando la loro attenzione e di risolvere problemi. Comportamenti dietro cui c’è una base genetica, diventata ereditaria nel corso dei secoli, come hanno verificato i ricercatori svedesi.
Jensen e il suo team dell’università di Linköping, Svezia, hanno studiato il comportamento di 190 beagle e l’interazione con un essere umano, compresa la ricerca di contatto con gli occhi, durante il tentativo di risolvere un compito assegnatogli, volutamente impossibile da portare a termine.
Dovevano cioè far scivolare tre coperchi, di cui uno bloccato, per ottenere il premio messo nel contenitore sotto. I campioni delle 190 beagle sono stati poi analizzati per identificare i cinque geni candidati entro due regioni genomiche che potrebbero essere associati con la socialità.
Di fronte alla ‘missione impossibile’ a un certo punto i beagle si sono voltati verso l’interlocutore umano fissandolo negli occhi e cercando il contatto fisico per chiedere aiuto. Il genoma di questi esemplari di beagle è stato analizzato ed è stato così trovato un marcatore genetico nel gene SEZ6L, associato al tempo che si trascorre vicino e a stretto contatto fisico con gli uomini, e altri due marcatori, nel gene ARVCF, associati alla ricerca del contatto umano.
Ora la ricerca prosegue per testare gli stessi geni e il comportamento di altre razze in circostanze analoghe. I ricercatori vogliono anche analizzare campioni di Dna del progenitore, il lupo, per verificare se abbiano le stesse varianti genetiche. Questo può aiutare a capire di più su come questo comportamento si sia evoluto durante l’addomesticamento.
Fonte Ansa nature.com e researchgate.net
Photo credits researchgate.net