Quando pensiamo ai gatti e all’antico Egitto siamo sempre portati a pensare ad una relazione idilliaca tra questi animali e l’umanità del tempo: alcuni particolari che uno studio inglese è stato in grado di rendere noti aprono invece degli scenari macabri e oscuri.
Gatti personificazione della divinità
Quando si parla di antichi egizi e gatti, infatti, si può parlare di vera e propria ossessione e non solo di un semplice amore: le tombe giunte fino a noi hanno aiutato gli studiosi nel ricostruire quello che era il rapporto tra gli esseri umani che vivevano nell’Antico Egitto e i felini. Statue, gioielli, allevamenti e mummificazioni sono il simbolo di quanto questi animali domestici, oggi tanto amati e parte della vita di moltissime famiglie, rappresentavano nell’antichità un punto fermo per la società che li amava e li venerava.
Basti pensare che, secondo quanto raccontava Erodoto gli egiziani arrivassero addirittura a rasarsi le sopracciglia, in segno di rispetto, quando affrontavano in lutto per la morte del proprio esemplare. È importante ricordare che la grande diffusione dei gatti in Egitto era legata, più o meno come accade adesso nelle campagne, alla necessità della popolazione di combattere la riproduzione di topi e serpenti: ciò non toglie che buona parte del comportamento nei confronti dei felini fosse dettata dal fatto che gli antichi Egizi credessero che le proprie divinità possedessero le classiche caratteristiche di questi animali. I gatti venivano considerati spesso la personificazione delle divinità, essi venivano esaltate la protezione, la lealtà e ancora la ferocia e l’indipendenza.
Dai nomi ai figli alle uccisioni rituali
Gli egiziani arrivano addirittura a soprannominare o a chiamare i propri figli con il nome dei propri gatti: storicamente parlando vengono fatte risalire le prime sepolture dei gatti al 3800 avanti Cristo. Non è però tutto oro quel che luccica e a fronte di una vera e propria venerazione sono state ritrovate prove di un allevamento rituale di questi animali con il solo scopo di ucciderli per inserirli nelle tombe dei più ricchi.
La scoperta è stata fatta dalla Swansea University in Gran Bretagna a seguito di alcune radiografie svolte sulle mummie di alcuni gatti. Ha spiegato il professor Richard Johnson che si è occupato della ricerca:
Davanti all’immagine ai raggi x ci siamo resi conto che c’era un gatto morto molto giovane: dalla conformazione ossea, aveva meno di 5 mesi e il suo collo era stato deliberatamente rotto. È stato uno choc.
Ecco quindi che l’ossessione degli antichi egizi per i gatti, nonostante tutto, era completata da un doppio valore: il rispetto in vita ma anche il loro sfruttamento.