Come se la deportazione di massa dovesse essere il destino eterno e obbligato del popolo d’Israele, gatti compresi. Se non fosse scritto nero su bianco su un documento ufficiale, in questo caso sembrerebbe uno scherzo. Invece è tutto vero: il ministro israeliano dell’Agricoltura, Uri Ariel, ha proposto come unica soluzione possibile al grave problema di due milioni di gatti randagi in Israele la loro deportazione in un paese straniero. In nome della Bibbia.
Ariel, rappresentante dell’ala conservatrice, ha scritto una lettera al suo collega del dicastero all’Ambiente in cui dichiara di voler usare i finanziamenti destinati al problema del randagismo – pari a 4,5 milioni di shekel all’anno – per trasferire gatti, ma anche cani, randagi di un singolo genere (o tutti maschi o femmine) in un paese straniero disposto ad accoglierli.
A parte che resta da capire quale mai potrebbe essere il paese disposto a ospitarli e perché, specie in tempi di respingimenti di tutti verso tutti, animali e umani, ciò che lascia perplessi è la motivazione di fondo.
Secondo Ariel sterilizzare e castrare animali sarebbe una tortura che offende l’halachic, la legge ebraica, e il comandamento biblico di Dio che ha benedetto tutti gli animali quando ha decretato ‘andate e moltiplicatevi nella terra di Israele’. Ma il randagismo in Israele è considerato una piaga nazionale per l’esplosione demografica incontrollata dei felini.
Con questa sortita il ministro ha scatenato una tempesta di proteste perché rischia di mandare all’aria il solo programma che ha permesso di sterilizzare oltre 100.000 gatti negli ultimi anni in Israele, contrastare la crescita incontrollata e preservare la salute dei randagi. Per questo motivo, attivisti per i diritti degli animali hanno avviato una petizione che ha già raccolto 10 mila firme.
Fonte: ynetnews.com
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